L’installazione luminosa di Marco Nereo Rotelli, con la direzione artstca di Manon Comerio, è pensata come un viaggio nel mondo di Carlo Scarpa partendo dai suoi schizzi: la relazione tra forma architetonica ed idea diventa l’ incipit di tuta l’opera luminosa.
Potremmo dire che, come scrive Carlo Scarpa “l’architetura, che noi vorremmo essere poesia, dovrebbe chiamarsi armonia, come un bellissimo viso di donna”. Un messaggio direto e bellissimo che esprime il conceto di bellezza atraverso la metafora del viso. Tutto il percorso artistico di Marco Nereo Rotelli ha come soggetto ed oggetto della rappresentazione la luce.
È la luce che fonde i linguaggi diferenti che egli utilizza, è la luce che rende visibile l’iconografa poetica che egli crea. Ho seguito negli anni il suo lavoro. Ho visto la sua grande installazione luminosa al Petit Palais che inaugurava l’autunno culturale parigino, la sua grande mostra a Palazzo Reale di Milano nel 2010 e a Chicago al Field Museum nel 2013 e poi tanti altri eventi, esposizioni, incontri. La sua atvità è incessante e si discosta dal lavoro a cui usualmente un artista si dedica. Potrei defnire il suo lavoro una progettualità creativa che negli anni lo ha portato ad attraversare il campo della flosofa, del cinema, dell’architettura (una delle sue ultime installazione è stata realizzata per l’inaugurazione del nuovo edifcio di Renzo Piano a Genova) e poi, certamente, della poesia che è il vero motore del suo fare. Sono molte le sue collaborazioni con grandi poeti, da Adonis al cinese Yang Lian (con il quale sta realizzando un progetto a Yangzhou, Cina) a Edoardo Sanguineti e signifcativi sono i testi che loro hanno scritto sul suo lavoro e sul rapporto interlinguistico che egli mette in atto.
Non pensiamo, però, che questo profondo e semantico viaggio tra i linguaggi dell’arte, fatto di sconfnamenti ed intrecci, sia dettato da armonici accoppiamenti. Rotelli sa che ogni linguaggio è di per sé intraducibile e dunque molto spesso la visione delle sue opere non induce lo sguardo ad accomodarsi agevolmente nella visione, ma piuttosto egli lo scomoda e ci induce a cercare oltre. Ma non è forse la ricerca di questo “oltre” il vero compito dell’arte? L’arte, ricordando un concetto caro a Shakespeare, non è un mezzo ma un fne: la vita può essere vista diversa/mente, fuori dagli schemi che ogni tempo impone, compreso quello della categoria della bellezza.
16 maggio 2014, ore 21
Museo di Castelvecchio, Verona